martedì 27 novembre 2012

Romeo e Giulietta


Romeo e Giulietta, Frank Dicksee


L'opera in questione risente fortemente dell'influenza romantica, tanto da richiamare immediatamente alla memoria capolavori come il bacio di Hayez. Dicksee, che non faceva propriamente parte della confraternita preraffaellita, ma ne condivideva tratti stilistici e tematiche, raffigura qui una delle coppie più famose della storia nel momento del climax del loro rapporto: si tratta infatti del saluto che i due amanti si scambiano dopo la loro unica notte insieme e prima della partenza di Romeo per Mantova, che prelude al tragico finale.

L'amore dei due giovani è raffigurato in toni realistici ma che al tempo stesso contengono una sfumata cifra di incanto, il segno dell'idillio della loro passione e della loro innocenza, evocate anche cromaticamente dal colore d'abiti della coppia. Le piante in primo piano vogliono probabilmente sottolineare la naturalezza con cui gli amanti si sono reciprocamente concessi, e il rampicante che si innalza verso l'alto evoca la tensione dell'eros verso una dimensione trascendente, in cui amor sacro e profano si fondono in una cosa sola. Nella sua magnificenza, il palazzo retrostante non incombe nè accoglie, ma si rivela in una dimensione sospesa che non è nessuna delle due cose ma allo stesso tempo rivela entrambe, mentre la città di Verona, che si lascia appena intravedere, è ancora solo un pallido e indegno sfondo che proprio e soltanto la passione dei due potrà redimere.

La sensualità calorosa e travolgente della scena, abbracciata da un arco che sembra ricapitolare in sè l'intera vicenda, vuole esprimere idealmente il vero senso della celeberrima opera shakespeariana: superare, trasfigurandoli, gli ostacoli che il dovere per il dovere, l' ottusità, la meschinità vorrebbero imporci, e rendere la vita una celebrazione d'amore.

sabato 24 novembre 2012

The King and the Beggar Maid






Photo by Julia Margaret Cameron


Ci è stato richiesto dalla cara amica Rossana Ruja un ulteriore approfondimento sulle figure del re Cophetua e della mendicante, che qui pubblichiamo:

"The Beggar Maid"
by Lord Alfred Tennyson
(1809-1892)

Her arms across her breast she laid;                                                        
She was more fair than words can say;                                         
Barefooted came the beggar maid                                                               
Before the king Cophetua.                                                                                    .
In robe and crown the king stept down,                                 
To meet and greet her on her way;                                                                       
‘It is no wonder,’ said the lords,                                                   
‘She is more beautiful than day.’                                                                  
As shines the moon in clouded skies,                                            
She in her poor attire was seen;                                                   
One praised her ankles, one her eyes,                                   
One her dark hair and lovesome mien.                       
So sweet a face, such angel grace,                                
In all that land had never been.                                                              
Cophetua sware a royal oath:                                                      
‘This beggar maid shall be my queen!’                                   


"La mendicante"
di Lord Alfred Tennyson
(1809-1892)

Le sue mani incrociò sul petto
Più bella di quanto verbo possa dire
Scalza giunse la mendicante
Di fronte re Cophetua.
Con mantello e corona il re fece un passo
Per incontrarla e salutarla sulla via;
"Non c'è da stupirsi", dissero i nobili
"E' più bella che il giorno".
Come splende la luna in nuvolosi cieli
Ella nel suo povero aspetto fu veduta;
Uno lodò le sue caviglie, uno i suoi occhi,
Uno i suoi capelli scuri e portamento amorevole.
Un viso tanto dolce, una grazia tanto angelica
In tutte le terre mai vi eran stati.
Cophetua prestò un giuramento regale
"Questa mendicante sarà la mia regina!"

giovedì 22 novembre 2012

La sacerdotessa di Delphi


John Collier - La sacerdotessa di Delphi (1891)


La sacerdotessa di Delphi, detta Pizia, era una veggente greca nota in tutto il mondo antico per le sue capacità divinatorie, che le erano dovute ad un contatto privilegiato con il dio Apollo. Anche i re e i comandanti di eserciti si rivolgevano a lei per ottenere responsi sull'esito delle loro imprese.
La Pizia godeva dello status di vera e propria istituzione, tant'è che vi fu sempre una sacerdotessa o più a svolgere tale ruolo dal 1400 a. C. fino all'epoca cristiana.
Il dipinto raffigura la sacerdotessa nella stessa posa che si può ritrovare su un'antica anfora, assisa sul tripode, mentre ispira i fumi, detti pneuma, che provengono dal basso della caverna oracolare.
In mano regge un ramoscello di alloro, pianta dagli effetti allucinogeni che secondo alcuni studi veniva masticata per aiutare a indurre lo stato di trance.
Resta al di qua del dipinto, non ritratta, la figura del supplice recatosi a consultarla.

martedì 20 novembre 2012

Il Re e la Mendicante


 Edward Burne-Jones, Re Cophetua e la mendicante




Edmund Blair Leighton, Il re e la mendicante


La storia di re Cophetua e la mendicante proviene da un'antica tradizione medievale.
Secondo quest' ultima, Cophetua era un re africano, che non provava alcuna attrazione per le donne.
Un giorno, per puro caso, egli scorse fuori dal suo palazzo una mendicante, Penelophon, che soffriva per la mancanza di vesti con cui coprirsi, ed ella rapì il suo cuore.
Colto da amore a prima vista, Cophetua giurò a sè stesso che avrebbe fatto della fanciulla la sua sposa, o si sarebbe tolto la vita.
Cophetua andò allora in giro per le strade, spargendo denaro ai quattro venti, in modo da attirare i mendicanti, nella speranza che anche lei facesse la sua comparsa. Alla fine lo stratagemma diede i suoi frutti e, quando la ritrovò, le si prostrò dinanzi chiedendole di diventare la sua regina. Ella acconsentì, e presto nessuno fu più capace di indovinare le sue umili origini.
La coppia visse insieme in felicità per il resto dei giorni che toccavano loro e, quando morirono, i due furono sepolti nella stessa tomba.

La letteratura anglo-americana è piena di riferimenti alla storia di re Cophetua e la mendicante, a partire dallo stesso Shakespeare, che la menziona in Romeo e Giulietta, Pene di amor perduto, Riccardo II e Enrico IV.
Lord Alfred Tennyson scrisse una sua versione della storia, intitolata La mendicante (1842).

Proprio da quest'ultima opera trae l'ispirazione Edward Burne-Jones, per il suo dipinto a olio del 1884. I personaggi ritratti rappresentano Burne-Jones stesso e sua moglie Georgiana.
Si dice addirittura che il pittore abbia dovuto apportare delle modifiche alla testa del re, per rendere la somiglianza meno evidente.
L' opera richiese una lunga fase di gestazione. A partire da una versione in scala ridotta del 1861, Burne-Jones sviluppò progressivamente il tema in una lunga serie di studi a matita dei diversi elementi (esposti presso la Birmingham City Art Gallery, Manchester City Art Gallery, Ashmolean Museum, Oxford, e il Fitzwilliam Museum, Cambridge).
Alcuni dettagli furono ripresi da oggetti reali - la corona, ad esempio, fu realizzata per l'occasione da W. A. S. Benson.
Burne-Jones commentava in una lettera: "Lavoro giornalmente a "Cophetua e la sua fanciulla". Mi tormento ogni giorno, ma non mi raccapezzo mai neanchè un pò in merito a come ritrarlo. Nessun opera precedente mi è d'aiuto, e ogni nuova immagine è un nuovo enima, e io mi perdo e mi struggo, e tutto è come era al principio anni fa. Ma io mi ucciderò piuttosto che non far sì che Cophetua sembri un re e la mendicante una regina, come re e regine dovrebbero essere."
L'opera rimane una delle immagini più impressionanti e meglio note di Burne-Jones.
Quando l'enorme dipinto fu esibito alla Grosvenor Gallery nel 1884, la critica artistica del Times, che era stata in precedenza piuttosto fredda nei confronti di Burne-Jones, affermò che esso non solo costituiva il lavoro più raffinato dell'autore, ma uno dei più bei dipinti mai ritratti da un inglese.
Ricevette il plauso anche quando fu esposto a Parigi in occasione dell'esposizione universale del 1889 (la stessa il cui centro d'attrazione fu l'appena completata Torre Eiffel).
Burne-Jones fu meritatamente premiato con la Croce della Legion d' Onore.
Il dipinto fu in seguito esposto in Inghilterra alla New Gallery nel 1892 e di nuovo alla Memorial Exhibition dopo la morte dell'artista.
In seguito, la moglie Georgiana avrebbe voluto che fosse acquisito dalla National Gallery, ma fu la Tate Modern ad aggiudicarselo.

Qualche anno dopo, nel 1898, fu esposto il dipinto sullo stesso tema di Edmund Blair Leighton, ad omaggiare la memoria di Burne-Jones.
La differenza maggiore, a livello tematico, sta nel gesto di Cophetua, che pone la corona ai piedi della sua regina mendicante, come in un vero e proprio atto di sottomissione.